GIRONDA – L’ITALIA OFFRE AIUTO, BP NON RISPONDE.

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Nel nostro precedente post, abbiamo analizzato il comportamento della BP su Internet, sottolineando come, dal punto di vista informativo, l’azienda sia sia comportata bene, o almeno molto meglio di tante altre che si trovano improvvisamente in stato di crisi.


La responsabilità del disastro ambientale del Golfo del Messico oggi è sulle spalle di tre aziende: la BP, che gestisce il pozzo, la Transocean, proprietaria della piattaforma di trivellazione off-shore e la Halliburton, una società di Houston responsabile dei lavori sulla piattaforma. Anche se martedì, queste tre società hanno cercato di scaricare le proprie responsabilità tecnica l’una sull’altra, al Congresso USA, è evidente che sarà la sola BP a dover gestire il grosso crollo di reputazione sul mercato.
E intanto Obama afferma: “Mai sprecare una crisi”, affermazione che contiene espliciti attacchi alle società petrolifere rilanciando le riforme ambientaliste, aprendo quindi ufficialmente una stagione che si rivelerà particolarmente ostile per le compagnie petrolifere.

PR ITALIA ha chiesto a Gian Paolo Gironda, esperto in comunicazione di crisi, cosa ne pensa.

PR ITALIA: Secondo lei la lobby del petrolio, oggi attaccata duramente e pubblicamente, si limiterà a diventare più aggressiva nelle sedi istituzionali (lobby) oppure svilupperà anche una comunicazione maggiormente orientata ai consumatori?

GIRONDA: Vorrei fare una premessa sulla lobby del petrolio e la posizione di Obama. “Mai sprecare una crisi” è un tema da Obama già sviluppato in precedenza, per esempio in occasione di Katrina, ed è un principio primo in situazioni di crisi.
Ogni crisi porta con sé contenuti o elementi di opportunità. Obama può cavalcare l’emotività pubblica su un disastro immane per accelerare il suo disegno di legge: in presenza di un disastro drammatico, il suo processo di legge può essere approvato e può essere attivato un atteggiamento più rigido verso le industrie.
Ricordiamoci che Obama aveva autorizzato le trivellazioni marine, aumentandone il numero anche perché per gli americani costituiscono una fonte importante, non sostituibile con energie alternative.
Ora per regolamento bisogna essere più rigidi nei controlli e nei sistemi di sicurezza tenendosi lontani dalle coste. Come reagiscono le società petrolifere? Spesso, come nel caso di BP, con errori e scrollamenti di responsabilità, giocando allo scaricabarile. Nello specifico è evidente che non abbia funzionato qualcosa nella progettazione e nei criteri e principi di sicurezza.

Ora dunque le compagnie petrolifere dovrebbero solo abbozzare.
In conclusione, la frase del Presidente Obama “Mai sprecare una crisi” è in parte rivolta a se stesso, a supportare la propria politica verde. Ma è rivolta anche a un altro target: alle imprese coinvolte, su cui sta facendo warning  lo stesso Obama, spingendole nel trovare soluzioni.
Obama dal canto suo sta svolgendo un’operazione corretta: sull’onda emotiva generata dalla vicenda, può inasprire una serie di norme volte a evitare l’inquinamento, aumentare le tasse sul petrolio, costruire un fondo per le misure di sicurezza e promuovere la sua campagna ‘verde’ per la riduzione del CO2.



PR ITALIA: Secondo un sondaggio di Shelton Group, un americano su otto smetterà di acquistare benzina BP. Quanto a lungo il consumatore penalizza l’azienda dopo una crisi di reputazione?

GIRONDA: Non facciamoci illusioni. Nel recente caso del naufragio di Erika, di cui era responsabile Total, i consumatori francesi hanno per un po’ boicottato l’azienda, ma è durato poco. Lo stesso accadrà anche per i consumatori americani: finita l’onda emotiva, si dimentica, anche se sussisterà una parte marginale della popolazione che continuerà a non consumare BP.
Ciò che non è marginale, invece, è che le aziende coinvolte non stanno facendo nulla, stanno solo aggravando la situazione: il rimpallo delle responsabilità non fa certo intuire che alla base del loro lavoro ci fosse cordinamento, consapevolezza e responsabilità sociale. I tentativi di chiudere la falla stanno dimostrando vaghezza e impreparazione. Lo stesso appello diffuso dalla BP per raccogliere nuove idee (è stato aperto uno specifico sito web, ndr.), non è stato sfruttato:

la BP non ha ascoltato le offerte di aiuto come, ad esempio, quella di un’azienda di Bari, la Fluidotecnica Sanseverino srl, con soli quattro dipendenti ma dotata di tecnologie avanzatissime, che ha il brevetto per una macchina, la Oilsep Fluidoter, in grado di separare fisicamente l’acqua dal petrolio (con un costo di circa 300.000 euro a macchinario e un’efficienza del 98%. Il titolare dell’azienda, Michele Sanseverino, ha timidamente cercato di proporre questo macchinario ai vertici della BP, ma non ha mai ricevuto risposta. Attualmente stanno cercando di farsi sentire con l’appoggio del Ministero degli Esteri e della Presidenza del Consiglio e tutto ciò a fronte di un’azienda che dice “se c’è qualcuno che ha una soluzione, si faccia vivo!”.


PR ITALIA: Se lei fosse a capo della comunicazione di BP, quali strumenti e quali linee guida metterebbe in azione?

GIRONDA: Beh, sarei in difficoltà.
Sinceramente su questo posso fornire solo impressioni, non avendo strumenti interni per giudicare l’operato della BP. Tuttavia da quel che è emerso, posso dire che comportamenti e azioni della BP hanno dimostrato una gestione di crisi non efficace.
Per questa situazione di crisi si deduce che non si stata fatta una preliminare e seria Risk Analysis, che avrebbe comportato la predisposizione di interventi strutturali in grado di abbattere la probabilità di accadimento di una crisi. Se il problema che scatena la condizione di crisi non è stato previsto, se non vi è stato alcun progetto preliminare, gestire la crisi diventa un arrampicarsi sui vetri.
Se fossi a capo della comunicazione di BP, non solo chiederei scusa al mondo, ma ascolterei quelle aziende – come ad esempio quella italiana che ho citato – che si fanno vive per dare una mano.
Alcune situazioni sono talmente gravi che è difficile venirne a capo.
A parte mettere in campo le regole base che costituiscono le prime pagine del Decaloco del Gestore di Crisi (ammettere l’errore, chiedere scusa, promettere un risarcimento economico), dal punto di vista della comunicazione purtroppo si può fare ben poco.

Gian Paolo Gironda è considerato uno dei massimi esperti in Italia in crisis communication. E’ nel settore della comunicazione d’impresa dagli anni ’60, nel 1976 fonda la più importante agenzia di RP italiana, la SCR, oggi Weber Shandwick, dove lavora per vent’anni. Nel 1996 fonda la sua agenzia, la GPG Associati, per occuparsi di consulenza di comunicazione di crisi e formazione manageriale. Gironda è docente allo IULM ed è stato docente di Risk Analysis presso SPACE (Bocconi), presso l’istituto ICEI, il CESMA e viene chiamato periodicamente dalla Luiss dallo Ied di Roma e dall`Università di Salerno.

AEROPORTI CHIUSI, IL SITO DELL’ENAC NON NE PARLA.

L’inpronunciabile vulcano Eyjafjallajokull è tornato questo weekend a rendere difficili i voli in mezza europa. Ancora una volta molti aeroporti sono stati chiusi perchè volare in mezzo alla nuvola di cenere, si dice, sia estremamente pericoloso per i motori degli aerei.  Su Repubblica.it si legge che “l’Enac ha disposto la chiusura dello spazio aereo del Nord Italia oggi (9 maggio) dalle ore 8 alle 14. Già dal tardo pomeriggio la situazione – stando agli annunci dell’autorità di controllo europeo – dovrebbe volgere gradualmente verso la normalità. sono rimasti attivi solo gli scali di Venezia, Trieste e Rimini. Eurocontrol aveva evidenziato la presenza di cenere vulcanica nello spazio aereo indicato, non compatibile con i parametri di sicurezza. Cancellati già cinquemila voli in Europa. Molti i disagi”.
Viene spontaneo quindi fare un salto sul sito dell’ENAC per capire meglio, magari sperando di trovare dettagli sui singoli aeroporti. Purtroppo non si trova nulla, il sito sembra la solita pagina statica, più simile a una brochure che allo strumento di informazione aggiornato che ci si aspetta da una struttura così importante.
Per avere quindi aggiornamenti e dettagli sullo stato degli aeroporti in Europa è necessario rivolgersi al sito di Eurocontrol (European Organization for the Safety of Air Navigation), dove, in home page, troviamo subito il banner “Volcanic Ash Cloud” che rimanda a un pagina ricca di dettagli, video e approfondimenti ma soprattutto aggiornamenti real time che l’organizzazione europea fornisce tramite Twitter, con un canale dedicato “#ashtag”.
Per fare un esempio:
 “Update 11.00 CET: Milan region airports + Pisa and Florence still closed until at least 14.00 CET #ashtag
Basta poco, no?
Nel sito dell’ENAC c’è una specifica sezione sulla comunicazione che ha come scopo quello di ” … accrescere l’interesse dei cittadini nei confronti di un mondo altamente dinamico qual è quello dell’aviazione, promuovendo conoscenze costantemente aggiornate e approfondite su tematiche di particolare interesse nel settore…”. Forse, per cominciare ad accrescere questo interesse, sarebbe opportuno esaudire il bisogno prioritario, cioè quello di informare se un aeroporto è chiuso oppure no e se i voli riprenderanno, insomma cose molto pratiche.
E per fortuna che la mission dell’ENAC sta nel “rivolgere l’attenzione al passeggero ed alla società, i cui bisogni diventano il vero motore dell’azione dell’Ente”.
Peccato dunque rilevare un altro esempio di pessimo servizio al cittadino.

VULCANO ISLANDESE E CRISIS COMMUNICATION

Recentemente abbiamo parlato del caso Nestlè: la reputazione dell’azienda, entrata in crisi per un filmato diffuso in rete, è stata nell’opinione pubblica ulteriormente inficiata dall’incapacità di gestire commenti negativi
sui social network.
A pochi giorni da quel post, vogliamo analizzare la comunicazione di crisi di alcune compagnie aree in occasione della sospensione dei voli dovuta alla recente eruzione del vulcano Eyjafjallajökul. L’intenso traffico sulle linee telefoniche ha portato molte compagnie aeree a sfruttare più intensamente i social network per comunicare con i propri clienti e garantire un costante flusso di informazioni aggiornate.
Sembra scontato affermare che il verificarsi di una situazione di crisi è una possibilità che, per quanto scongiurata, debba essere prevista da ogni azienda, ma ancora una volta vediamo che non è così.
Corinne Weisgerber della St. Edward’s Univerity di Austin, Texas, ha realizzato un’analisi pubblicandola poi su Slideshare che prende in esame la comunicazione su Facebook e Twitter di diverse compagnie aeree. Di italiane neanche l’ombra.
La tedesca KLM ha sfruttato molto bene il web per affrontare la crisi:
– aggiornando continuamente i social network con informazioni sullo stato del traffico aereo;
-diffondendo un videomessaggio da parte del CEO e Presidente della compagnia Peter Hartman col quale la compagnia si scusa per gli inconvenienti causati ai viaggiatori e chiarisce le modalità di riapertura dei voli, promettendo di fare del proprio meglio per gestire al meglio la situazione;
-scrivendo su Facebook una serie di Q&A.
Il pubblico ha reagito bene alla comunicazione della compagnia, elogiandone le RP e il customer service.
Ancora una tedesca, la Lufthansa, ha utilizzato Facebook, Twitter e il sito ufficiale LH.com per scusarsi con i clienti per i disagi, fornire informazioni il più possibile aggiornate sulla condizione del traffico aereo, rispondere a dubbi e richieste e proporre (in maniera proattiva invece che reattiva) modi alternativi  per
comunicare con lo staff aziendale in un momento in cui le linee telefoniche erano sovraccariche.
Lo stesso modello di comunicazione di crisi (caratterizzato da attenzione al singolo cliente, responsabilità, aggiornamento) è stato adottato da British Airways.
Virgin Atlantic ha cercato di mantenere il più possibile aggiornati i propri profili social, garantendo un flusso di comunicazione costante anche laddove non c’erano novità di rilievo da diffondere.
Tuttavia, si è trattato, rispetto alle altre compagnie, di una comunicazione a senso unico: ai commenti del pubblico non ha fatto sempre seguito un’adeguata risposta.
Tipologie di comunicazione simili sono state adottate anche da altre linee aeree, quali Delta e American Airlines.
Molte compagnie aeree hanno poi deciso di unirsi e aggregare i propri tweet su un Live Blog su Tnooz.
Va notato, invece, (basta uno sguardo ai profili su FB e Twitter per rendersene conto) che l’uso dei social network non è stato altrettanto sfruttato, purtroppo, da compagnie aeree italiane quali Alitalia, Meridiana, Windjet.
In ogni caso, l’uso corretto della rete ha contribuito a gestire il rapporto con il pubblico di riferimento, con comportamenti auspicabili in ogni stato di crisi:
-calmare gli animi
-mettere al primo posto il pubblico
-prendersi la responsabilità di risolvere il problema
-essere onesti
-monitorare le notizie uscite e le domande poste al telefono
-non dire mai ‘no comment’
-fornire un costante flusso di informazioni (anche in assenza di novità oggettive)
-comunicare con i pubblici-chiave
-rimanere accessibili (raggiungibili).
Questi obiettivi sono raggiungibili solo attraverso quelli che la Weisgerber cita come i cinque punti cardine della comunicazione di crisi:
-attenzione;
-chiarezza;
-controllo;
-fiducia;
-competenza.

NESTLE: CHE BATOSTA!

Ieri 15 aprile si è consumata l’ultima azione di quella che ormai è stata definita una delle peggiori gestioni di crisi: trenta attivisti militanti di Greenpeace travestiti da oranghi hanno fatto irruzione all’assemblea generale di Nestlé a Losanna (Svizzera), chiedendo agli azionisti di smettere di “utilizzare olio di palma proveniente dalla distruzione delle ultime torbiere indonesiane”.

Il direttore della campagna Foreste di Greenpeace International Pat Venditti è salito sul palco e ha chiesto a Nestlé “di escludere dall’intera filiera produttiva l’olio di palma del “campione” della deforestazione, Sinar Mas”.

Quella di ieri è solo l’ultima di una serie di campagne di denuncia che Greenpeace ha messo in campo contro Nestlé.
L’episodio scatenante ha avuto luogo il 17 marzo 2010, quando Greenpeace ha creato e postato su Youtube un video shock di cui è protagonista il noto snack Nestlé, KitKat: in consonanza con il claim del prodotto, nel filmato si chiede “un break per foreste e oranghi”.
L’azienda Sinar Mas, fornitrice di Nestlè, distruggerebbe, per far spazio a piantagioni industriali di olio di palma, le foreste indonesiane, “importantissimi depositi di carbonio per la stabilizzazione del clima” e “habitat degli oranghi, specie in via d’estinzione”.
La multinazionale, oltretutto, non rispetterebbe la legge indonesiana, ignorando le proprie responsabilità come membro della RSPO (Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile), tanto che, dopo la denuncia di Greenpeace, aziende quali Unilever e Kraft avrebbero già interrotto i contratti di fornitura con l’azienda indonesiana.

Poche ore dopo la messa on-line del video,  Nestlé riesce a oscurarlo in alcuni paesi e, nella stessa giornata, invia un comunicato col quale dichiara di voler cancellare il contratto con Sinar Mas.
Tuttavia, secondo una lettera aperta all’ufficio Relazioni Pubbliche di Greenpeace, la comunicazione di interruzione del contratto sarebbe stata data prima al pubblico che alla stessa Sinar Mas, sul sito della quale si legge che in merito non era ancora giunta alcuna comunicazione ufficiale.
In ogni caso Greenpeace non ritiene sufficiente il provvedimento, affermando che Nestlé potrebbe interrompere il contratto con la multinazionale ma continuare a servirsi da questa tramite aziende terze (come l’APP).
Il video oscurato, intanto si diffonde viralmente scatenando vive polemiche e aumentando velocemente gli iscritti alle pagine facebook e twitter dell’azienda per alimentare critiche e dibattiti.
Alcuni degli iscritti hanno addirittura inserito come immagine nel proprio profilo quella modificata del logo KitKat, in cui il nome del prodotto era modificato in ‘killer’.
Nel frattempo, Greenpeace ha messo sul sito un modulo per scrivere una richiesta di moratoria all’AD di Nestlé, che ha raccolto 130.000 firme, e ha dato il via all’attività “Chiama Nestlé e chiedigli di dare un break alle foreste”.
Dopo i già gravissimi d’immagine subìti dopo la campagna Greenpeace, la Nestlé ha commesso l’ennesimo errore gestendo male i commenti negativi sui social network:

“Ripeto: i vostri commenti sono benvenuti, ma per favore non postate usando una versione alterata dei nostri loghi sul vostro profilo, o i post saranno cancellati.”

oppure

“Grazie per le lezioni di buone maniere. Consideratele accettate. Ma questa è la nostra pagina, e noi dettiamo le regole così da mantenere l’ordine. E’sempre stato così”.
o, addirittura…
“Oh, per favore… è come se stessimo censurando tutti i commenti per lasciare solo quelli positivi…”
Il caso Nestlé dimostra che l’attenzione sociale di un’azienda è sempre più direttamente riconducibile alla sua reputazione e, una situazione di criticità legata all’assenza di CSR mal gestita scatena reazioni davvero pericolose per il suo fatturato.

DA PRANISTA ALCUNI ”APPUNTI” SULLA COMMUNICATION CRISIS

Su Pranista una serie di consigli sulla Communication Crisis. Cosa fare e soprattutto cosa non fare nel caso sia in crisi o in pericolo la reputazione aziendale.